Da Medea dell’antica Grecia a Rita Levi Montalcini, a Samanta Cristoforetti, la domanda è:
“Come la resilienza, la forza, la sensibilità delle donne, la loro attenzione nelle relazioni e l’empatia femminile, hanno contribuito e contribuiscono a cambiare il modo di guardare gli obiettivi e i processi che portano a raggiungerli?”.
Possiamo affermare di aver raggiunto la parità di genere oppure il gender, il genere., il maschile e il femminile è ancora un argomento di cui si sente parlare moltissimo ma al quale non si danno soluzioni e risposte?
La donna oggi è ancora vista e vissuta come la Medea dell’antica Grecia audace, coraggiosa, determinata che per raggiungere i suoi obiettivi usa strategie e astuzie oppure vive e opera in un contesto di accoglienza e di parità di genere senza dover ricorrere ad artifizi finalizzati e pianificati?
Le risposte a queste domande in parte provengono dalla storia e in parte dalla realtà e dai condizionamenti sociali ancora in essere e in parte dalle strategie personali
Se procediamo con un breve excursus dalla scuola alla storia, possiamo verificarne le fasi e iniziamo proprio dalla istruzione
LA SCUOLA come condizionamento culturale
È bene renderci conto che se la differenza di genere è un fattore culturale, anche la mancanza di rispetto per i generi lo è.
- In che modo, la scuola negli anni, ha contribuito alla ricchezza e al benessere interiore della donna?
In tutti i secoli, e in ogni parte del pianeta, le donne hanno dovuto lottare, e ancora oggi lottano, per ottenere il diritto all’istruzione.
È importante quindi, arrivare ad un cambio di mentalità, ad un’evoluzione culturale profonda che parta dalla giovane età.
E da dove si può partire per “condizionare” la crescita sana verso l’accoglienza della parità di genere, affinché la donna si senta libera di poter vivere e godere a pieno la propria vita, e arrivare al raggiungimento degli obiettivi, ed infine al benessere?
- Dalla famiglia. La prima forma di condizionamento sociale avviene sicuramente in ambito familiare, attraverso l’educazione a principi morali, valori, modalità di comportamento. Questi fattori fanno parte della struttura profonda del bambino che diventa adulto. Si dice che siamo il frutto del nostro vissuto.
Per esempio, perché il lavoro familiare continua a ricadere principalmente sulle donne nonostante i progressi nelle pari opportunità fra i sessi?
La risposta a questo “rompicapo” è semplice, viviamo in un contesto italiano molto tradizionale, dove i cambiamenti culturali sono lenti. Essere moglie, madre, donna in carriera non è semplice, ma scoraggiarsi, non avere voglia di cambiare non è di certo la strada per raggiungere la parità, piuttosto fermarsi e focalizzare la soluzione potrebbe cambiare i risultati.
- Dalla scuola. Il secondo ambito di condizionamento è la scuola. Con l’acquisizione del linguaggio, delle regole, con l’apprendimento della storia che spesso purtroppo si ripete, si agisce sullo sviluppo dell’individuo e si determina l’adeguarsi alle condizioni sociali e alla cultura di riferimento.
- Dallo sport: Il terzo posto è occupato dallo sport, il genere femminile ha dovuto lottare per arrivare all’uguaglianza durante il corso dei secoli.
- Dai mentori: Il quarto se chi trova un amico trova un tesoro, chi trova un mentore che veglia su di esso e lo consiglia lasciandolo però libero di crescere, trova la guida giusta per una mentalità e una cultura aperta a tutto e libera dai pregiudizi.
A questo punto la domanda sorge spontanea:
L’EVOLUZIONE STORICA, ci ha insegnato qualcosa?
I primi concreti mutamenti nella revisione culturale italiana risalgono all’ingresso delle bambine nella scuola.
L’istruzione generalizzata ha costituito il primo passo verso il superamento dei discrimini. Ovviamente ancora oggi siamo lontani da un’effettiva parità tra uomini e donne, ma la scuola per tutti, maschi e femmine, è stato il primo step per l’evoluzione che ancora oggi prosegue.
Nel nostro Paese, a partire dalla fine dell’800 iniziò l’alfabetizzazione di massa. Che, ovviamente, richiedeva la presenza di personale addetto all’insegnamento, adeguatamente formato.
Per questo motivo nacque la “Scuola Normale”, istituita per fornire un considerevole numero di insegnanti di entrambi i sessi. Ma soprattutto donne.
Molte giovani donne, con il titolo di maestre ed uno stipendio considerevolmente inferiore a quello degli uomini (più basso di quasi i 2/3), spinte da bisogni economici e dal desiderio di emancipazione, raggiunsero i luoghi più impervi della Nazione. Luoghi che erano ovviamente disdegnati dagli uomini perché lontani, scomodi e spesso malamente retribuiti.
Oggi, quelle maestre si possono annoverare di diritto tra le prime produttrici di cambiamento e di ricchezza culturale, visto il coraggio dimostrato nell’adempimento del proprio lavoro, nonostante le difficoltà, i disagi logistici e ancor più spiacevoli fatti di aggressione (non solo verbale), come testimoniato da molteplici fonti letterarie.
A partire da quegli anni, le donne, pur rimanendo a disposizione della famiglia e dell’uomo, lentamente entravano in quella società che, nel tempo, avrebbe riconosciuto loro un valore maggiore rispetto a quello di semplici “oggetti da riproduzione”.
Altre giovani donne, soprattutto nobili e borghesi, intrapresero la strada di una indipendenza socioculturale iscrivendosi a Licei e Università.
Non fu un percorso semplice, perché vennero accettate malvolentieri e furono spesso contrastate. Ma arrivarono, con l’impegno e la forza di volontà, ad eccellere anche in campi considerati prettamente maschili, quali la produzione scientifica e la ricerca, conseguendo lauree e prestigiosi riconoscimenti in medicina, ingegneria, zoologia, botanica e giurisprudenza.
Il XX e il XXI secolo possono vantare coraggiose pioniere, che hanno contribuito a dimostrare come l‘uguaglianza dei diritti non sia “uniformità”. Parliamo di donne del calibro di Maria Montessori (medico, neuropsichiatra infantile, filosofa, fondatrice del cosiddetto “metodo educativo Montessori”, oggi famoso e utilizzato in tutto mondo); di Rita Levi Montalcini (neurologa, accademica e senatrice italiana a vita, premio Nobel nel 1986); di Marisa Belisario (dirigente d’azienda, prima grande manager italiana), di Samantha Cristoforetti (ingegnere, astronauta, aviatrice e prima donna italiana negli equipaggi dell’Agenzia Spaziale Europea), di Greta Thunberg (attivista svedese per lo sviluppo sostenibile contro il cambiamento climatico).
Solo nel 1963 in Italia sarà affermato il diritto alle donne di “accedere a tutte le cariche professionali e impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazioni concernenti le mansioni o i percorsi di carriera”.
E alla fine del 1969, quasi a festeggiare la venuta di un nuovo decennio, sarà stabilito per tutti il libero accesso alle varie facoltà Universitarie.
Da lì in poi l’accesso al lavoro è stato facilitato, così come l’acquisizione di professionalità di alto profilo
Il lavoro femminile, quanto ha influito sul condizionamento sociale?
Se siamo tutti d’accordo che i meccanismi di condizionamento culturale, partono dalla famiglia e dalla scuola, in età infantile e prepuberale, anche la soddisfazione lavorativa, il confronto tra colleghi e il successo personale nel proprio business hanno un notevole effetto sull’emancipazione culturale.
Ne abbiamo un chiaro esempio in Tina Anselmi: insegnante, sindacalista e partigiana, fu la prima Ministra della Repubblica Italiana, per il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale.
Proprio lei, nel dicembre del 1977 fece approvare la prima legge sulle pari opportunità.
Gli anni Settanta e Ottanta, furono caratterizzati da moltissimi fattori negativi: crisi economica, disillusione per la caduta dei miti della contestazione giovanile, terrorismo, moltiplicazione di associazioni malavitose, tossicodipendenza, AIDS e tanti altri.
A questa situazione, l’Istituzione Scolastica rispose con i “Decreti Delegati”, cioè una legislazione contenente norme giuridico-amministrative, innovative soprattutto da un punto di vista sociale.
Istituirono e potenziarono attività di partecipazione, decentramento, collegialità, inclusione.
Con la Ministra Franca Falcucci, si consolidano i comitati di promozione e coordinamento di attività di educazione alla salute e prevenzione dalle tossicodipendenze e patologie collegate.
Agente di profondo cambiamento e prima donna Presidente della Camera dei Deputati, Nilde Iotti si batté perché la donna dovesse essere pensata anzitutto come “cittadina”, con pari dignità sociale rispetto all’uomo.
Simbolo del valore e dell’emancipazione femminile, fu una delle 21 donne dell’Assemblea Costituente e, con grande determinazione, portò avanti il principio della parità tra i coniugi e il riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio e delle famiglie di fatto. Principio di cui si parla molto in questo periodo con il disegno di legge Zan (DDL ZAN), sulle aggravanti specifiche per i crimini d’odio e discriminazioni contro omosessuali, transessuali, donne e disabili e che sta facendo nascere discussioni anche molto accese nel mondo politico e pubblico e social, come il rapper italiano Fedez che in diretta nazionale, al concerto del “Primo Maggio” ha attaccato la Lega, con un elenco di tutte le frasi contro gli omosessuali.
Tuttavia, sembra che a partire dagli anni Novanta, questa spinta verso la parità dei sessi sia man mano rallentata, soprattutto nel settore lavorativo.
C’è una sempre maggiore presenza femminile nel mondo del lavoro, ma, sia nel pubblico che nel privato, tale presenza occupa massicciamente la base di una piramide che vede al suo apice soprattutto uomini.
Questo non ha scoraggiato e non scoraggia le donne, che – come sempre – dimostrano grande resilienza, combattività e capacità di fare rete.
La consapevolezza della LEADERSHIP passa dalla formazione?
Nell’ultimo ventennio la globalizzazione e le molteplici opportunità di esperienze scolastiche, stage, progetti di scambio culturale anche a livello universitario, hanno portato sempre più i giovani, e le giovani donne a confrontarsi con altre possibilità di lavoro e le donne stanno diventando sempre più consapevoli dei vari spazi di leadership che potrebbero conquistare.
Nella Scuola i vertici degli Istituti scolastici sono ricoperti da un crescente numero di donne, sia per l’avvento della dirigenza unificata, sia perché, nell’espletamento dei concorsi, le concorrenti raggiungono performance e risultati più elevati della controparte maschile.
C’è, dunque, un’evidente inversione e la comunità scientifica avanza sempre più proposte di revisione dello stereotipo del “dirigente maschile”, viste anche le numerose ricerche che dimostrano come un’equa ripartizione dia migliori risultati nell’organizzazione. Questo è dovuto a delle caratteristiche specifiche delle donne, di derivazione ancestrale, che permettono una migliore performance nel business ad alti livelli.
La psichiatra e studiosa statunitense Dr.ssa Linda S. Austin sottolinea che le donne hanno una caratteristica esclusiva ed estremamente impattante nel ruolo dirigenziale: la capacità di unirsi e collaborare con gli altri. Si tratta di un talento utilizzato dalle donne fin dai tempi più remoti, per il benessere della famiglia e del clan.
Dal bisogno di unire, supportare e proteggere gli altri, le donne traggono quella fondamentale spinta che permette loro di raggiungere il successo, assumersi rischi, affrontare problemi da punti di vista nuovi e più ampi.
Altro importante fattore della leadership femminile è la gestione del potere, a cui viene data l’accezione positiva di “agire di concerto, evitando di imporre qualcosa dall’alto, e instaurando un circolo virtuoso di creatività e sviluppo per sé stesse, per le altre persone, per l’azienda” (Pogliana, 2012).
L’inclusività è uno degli aspetti fondamentali della leadership femminile, che nei processi decisionali tende a promuovere un dialogo allargato, decostruendo tutte quelle forme di accentramento che soffocano la personale identità del singolo e la sua cultura, educazione e forma mentis.
Studi sul Diversity Management negli Stati Uniti, dimostrano che le singole diversità tra individui, se utilizzate come leva strategica per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi, rivestono una grandissima importanza e sono una risorsa fondamentale.
Se è vero che l’abolizione della disparità di genere è strettamente correlata alla istruzione, esiste, oggi più che mai, un’impellente necessità di una profonda revisione e di maggiori investimenti nell’Istituzione scolastica. A partire dagli asili nido e dalle scuole dell’infanzia, fino ad arrivare ad una migliore inclusione con aumento di docenti di sostegno per le scuole primarie; la revisione del numero degli alunni nelle classi, dare maggiore valorizzazione delle competenze di tutto il personale della scuola attraverso la formazione permanente, ridurre il precariato e soprattutto dare maggior importanza al ruolo che riveste l’insegnante sia a livello culturale che educativo.
È necessaria una riorganizzazione complessiva, preparata ad aiutare le nuove generazioni a cavalcare la travolgente complessità della società contemporanea, offrire loro gli strumenti per migliorarla, favorire progettualità e creatività.
E con uno sguardo sempre attento alle linee guida Europee, che chiedono parità di trattamento e opportunità in tutte le aree, inclusa la partecipazione al mercato del lavoro.
Numerosi i temi che correlano tali idee di “emancipazione” come vera ricchezza.
La risposta alla domanda iniziale: “Come possono le donne oggi essere i motori del vero cambiamento e produttrici di valore e di ricchezza?” arriva dalla consapevolezza che sempre più numerosi sono i ruoli che le donne ricoprono in posti – fino a qualche decennio fa – inimmaginabili.
Basti pensare a Le donne nelle vie di Milano
Nel 2015, Milano viveva l’entusiasmante esperienza dell’Esposizione Universale.
Oggi, nell’area dove sei anni fa veniva inaugurato l’Expo, sta sorgendo Human Technopole, il nuovo istituto italiano di ricerca per le scienze della vita, all’interno dell’innovativo quartiere “Milano Mind”. È una zona ancora in lavorazione, che sta prendendo forma pian piano, ma che sta già dando il “buon esempio”.
Infatti, la toponomastica del quartiere non è ancora stata definita in modo completo e l’unica certezza è che le strade saranno dedicate a scienziati e grandi innovatori del nostro Paese. Ma in questa fase ancora preliminare, è già stato fatto un passo molto importante: la prima via a ricevere un nome (a parte via Decumano, che esisteva già nel 2015 ai tempi di Expo) è stata intitolata a Rita Levi Montalcini, una donna che ha fatto la differenza, non solo in Italia, ma nel mondo.
La speranza è che altre strade vengano intitolate ad eccellenze femminili, perché significa ricordare il debito enorme che tutta l’umanità ha nei confronti del genio, della creatività e dell’impegno di tante donne di talento. Donne che ogni giorno ottengono risultati incredibili sul piano della conoscenza e del sapere. Donne che conciliano casa e lavoro, famiglia e hobby, studio e sport. E ce ne sono molte più di quelle che pensiamo, anche ai nostri giorni.
Per fare degli esempi lampanti, basta citare Maria Chiara Carrozza, prima donna designata alla guida del CNR. Maria Rosaria Capobianchi, Francesca Colavita e Concetta Castilletti, le tre ricercatrici italiane che per prime in Europa hanno isolato il Covid.
Le donne hanno delle risorse inimmaginabili. Molte più di quelle che credono. E non se ne rendono conto per il semplice fatto che per troppi anni, troppi secoli sono state messe in posizioni di secondo piano dalla società e dalla politica, difficile dimenticare l’ultimo increscioso episodio di cui abbiamo parlato nel blog di Aprile, “Una poltrona per due o un sofà per tre?” che ha coinvolto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, lasciata sola come “donna”, come “presidente” e come “europea” dal presidente turco Erdogan, lasciandola senza sedia e relegandola su un divano.
Ma gli uomini che le hanno volute tenere in posizioni gerarchicamente subordinate, sia in famiglia sia nel lavoro, non avessero semplicemente paura?
Paura che le donne potessero farcela, che fossero abbastanza brave, se non addirittura migliori?
Paura di sbagliarsi ritenendosi superiori?
E siamo sicuri che noi tutti, oggi, uomini e donne, non abbiamo le stesse identiche paure nei confronti di quelle persone che sentono su di sé una sessualità diversa? Che si sentono addosso un’identità di genere diversa da quella che Madre Natura ha dato loro?
Il rispetto è la prima cosa. Sempre. Per il bene di tutti.
Noi donne, dopo tutto quello che abbiamo passato (e ne abbiamo passate tante… basta leggere “Amati o Amàti: questione di accento” per averne un piccolo stralcio), con tutta la nostra empatia e istintualità, siamo davvero sicure di non poter comprendere il punto di vista di queste persone o magari ancora ci sentiamo sicure delle nostre potenzialità?
E come fare per prenderne atto e iniziare ad orientarsi verso la soluzione e raggiungere gli obiettivi con efficacia, efficienza ed energia?
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