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Il lavoro richiede uno stile di vita più sano e maggiore concentrazione. Come e cosa fare.

Quando manca la concentrazione si lavora male e a rilento, si perde tempo prezioso e si diventa nervosi e irascibili. Ma quali sono le cause?

Di sicuro c’è un aspetto emotivo e uno fisico dovuto ad uno stile di vita “esagerato” dove ingeriamo cibo in maniera inconsapevole sia in qualità che in qualità e non sappiamo dire addio alle tossine che impediscono al nostro fisico di funzionare bene.

In una intervista, il professor Berrino afferma che non è mai troppo tardi per cambiare stile di vita. Eppure, viviamo in un contesto che ci vuole malati. Ecco cosa dice in proposito:
«Perché la nostra società, quella occidentale e ricca, ha bisogno delle insicurezze e del malcontento delle persone per sostenere il proprio sistema economico. Ci nutriamo di cibi di cui non abbiamo bisogno, acquistiamo beni di cui non abbiamo bisogno, prendiamo farmaci di cui spesso non abbiamo bisogno. E lo facciamo perché vi siamo indotti dalla pubblicità, dalla comunicazione, da una politica che ritiene che l’economia possa funzionare solo rilanciando i consumi». Sta dicendo che ci vogliono tristi per far girare il Pil?
«Certo. La società dei consumi muore senza consumi. E chi è felice non consuma. Chi è leggero non ha bisogno di cercare altrove gratificazioni che non trova nella sua vita».

Non siamo obbligati a seguire la pubblicità.  «Ma lo facciamo, siamo bombardati di messaggi, siamo inseriti in un sistema obesogeno. E poi ci attirano con cibi che all’apparenza sono super economici. Chi ha una certa età ricorda bene che un tempo l’acquisto di cibo assorbiva la maggior parte delle entrate delle famiglie. Oggi invece la spesa alimentare è una frazione minoritaria. Ma è un imbroglio, perché non viene raccontato il prezzo imposto all’ambiente e alla salute. Un prezzo che poi paghiamo sempre noi, mai le aziende che su quei cibi fanno fortune». Una delle sue tesi è che mangiamo non solo male, ma anche troppo.

«Noi occidentali abbiamo risorse economiche ed enorme disponibilità di alimenti e ne abusiamo. Dipende in parte dai geni: i nostri antenati non avevano cibo tutti i giorni e quando ne avevano l’occasione si nutrivano in abbondanza per sopperire ai successivi giorni di magra. Quell’istinto è rimasto, ma le nostre vite sono cambiate: siamo i figli delle carestie ma senza più carestie e svolgiamo attività sempre meno faticose che richiedono meno dispendio di energia. Però continuiamo ad accumulare riserve». Molti anziani, tuttavia, la fame l’hanno conosciuta davvero. «Oggi però non c’è ragione di eccedere nel cibo. Occorre raggiungere la consapevolezza di non avere bisogno di consumare, a dispetto dell’economia».

Gli anziani sono anche i principali utenti del servizio sanitario.
«Le malattie danno un gran contributo alla crescita del Pil. Più ci ammaliamo più c’è lavoro per medici, ospedali, aziende farmaceutiche, produttori di strumenti sanitari e il resto dell’indotto. Lo stesso Mario Monti da premier diceva che era necessario promuovere la sanità perché è la principale industria nazionale. Effettivamente è così».

Detto da lei che per anni è stato direttore del Dipartimento di Medicina preventiva dell’Istituto nazionale dei tumori. «Anche io sono stato considerato sui generis. Per portare certi messaggi nell’ambiente medico ho dovuto spendere il credito che avevo maturato in campo internazionale, con il registro tumori e gli studi sulla sopravvivenza dei malati. Mi ero fatto un nome e questo mi ha permesso di potere esprimere idee non in linea con il sistema».

E chi per tutta la sua esistenza ha adottato uno stile di vita poco attento, magari proprio in risposta alle privazioni dell’infanzia, è condannato a una vita di obesità, diabete e malattie correlate? «No, si può sempre cambiare, anche da anziani. Adottando uno stile di vita più sano migliorano i parametri metabolici, si regola la pressione del sangue, si tengono sotto controllo i trigliceridi, si riducono i dolori, migliora il funzionamento delle articolazioni. E i benefici si vedono già in poche settimane». Cosa bisogna mangiare?
«Basta riscoprire la vera dieta mediterranea: cereali integrali, noci, nocciole, mandorle, tanta verdura, frutta, pesce, limitare la carne, soprattutto quella rossa o lavorata, e non aggiungere zuccheri». Lei raccomanda sempre di fare anche del movimento.
«È la terza colonna su cui si regge lo stare bene, oltre al cibo e alla mente. Non serve molto, basta tenersi in attività tutti i giorni. Camminare nel verde o in un bosco ha anche un effetto antidepressivo». Da

In pieno e completo accordo con quanto afferma il professore, mi permetto di aggiungere una riflessione che riguarda un po’ più la nostra sfera animica: “Se nutrissimo di più il nostro tempo, la nostra vita di NOI, se riuscissimo a entrare in contatto intimo con noi stessi, avremmo poi così tanta necessità di “effimero”? Il mangiare appartiene alla oralità, appartiene al contatto intimo materno, alla protezione e al bisogno primario. Certo! Vero pure, che una domanda è: lavorare per mangiare oppure lavorare per vivere? Riempire i carrelli di roba, fare la spesa in maniera compulsiva, perché? Perché più è raffinato e più piace? Perché ci devono rendere dipendenti e non liberi.

Perché intossicarci? Perché così perdiamo la facoltà di concentrazione ☹

Perché lavorare di più, essere migliori, e non essere semplicemente se stessi? Essere umani felici? Perché ricalcare i modelli di tutti? Cosa ci impedisce di uscire dagli schemi? Di starcene in disparte e vivere senza lo stress di essere i più “performanti”? Forse perché ci hanno insegnato che il mercato sceglie i migliori? E chi e cosa stabiliscono chi sono i “migliori”? Forse delle etichette?! Bene se è così scegliamo di arrivare al nostro target per empatia e per simpatia. Scegliamo di essere professionisti e manager fuori dagli schemi. Saremo forti e invincibili, vivremo fuori dalle righe e saremo più leggeri e liberi dai pregiudizi e da “quello che fanno tutti”, vittime di un sistema che ci vuole “non pensanti” e malati. Pensiero di coach. Come e cosa fare per avere più concentrazione, lasciare il nervosismo e orientarsi a ritmi di vita più naturali e “vicini alle nostre corde”?

Prima di tutto scegliere cosa ci fa star bene per il nostro .

“Scegliere” è la chiave perché se possiamo scegliere, usciamo dall’ipnotico quotidiano, respiriamo, rallentiamo e tutto intorno a noi cambia. Una pausa pranzo di lavoro, per esempio, perché mangiare primo, secondo, contorno e caffè quando una bella zuppa in inverno o una bella insalata in estate è più che sufficiente per l’apporto calorico e ci tiene in forma per il resto della giornata? Meglio ancora se un estratto sano, leggero, gustoso e nutriente

Quando e se mangiamo in abbondanza, quando e se accumuliamo zuccheri, quanto dura il picco glicemico? Quanta concentrazione perdiamo? Quanta energia abbiamo in meno e quanto tempo in più mettiamo a “fare le cose” che dobbiamo fare?

Quando siamo troppo performanti, cosa portiamo a livello fisico ed emotivo? Cosa cerchiamo di dimostrare? A chi? Perché? Di cosa ci carichiamo? Tossine o carburante?

Cerchiamo di dimostrare che siamo bravi, ma non è forse la risposta a quella carezza non avuta, a quel bacio cercato, a quella pacca sulla spalla per avere un riconoscimento cercato e non avuto?

Non è forse che portiamo con noi numerose ferite e che non riusciamo a entrare in contatto con esse e superarle?

Bene, allora per il lavoro cosa fare e come fare?

Entrare in contatto profondo con ciò che si desidera, liberarsi dall’ansia da prestazione di essere performanti sempre e ovunque e condurre una vita sana nella piena consapevolezza.