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La profonda dicotomia tra il dramma delle donne afghane e l’imprenditorialità femminile

Una parte del mondo combatte per i diritti di libertà della persona e un’altra guarda verso un futuro roseo fatto di idee e progetti imprenditoriali: come può esistere questa dicotomia?

Assistere a tragici eventi che si sperava fossero alle spalle: morti, ritorsioni, chiusure, clausure e rinunce; tutto questo è ciò che stanno vivendo le donne afghane nel loro paese.

Una parte del mondo parla di imprenditoria femminile, di nuovi brand in rosa, di donne manager, in un’altra parte del mondo si parla di privazione della libertà. L’umana libertà.

Qui parliamo di diritti delle donne, lì si parla solo di sopravvivenza e di ricerca di dignità, quella dignità ormai abusata ed inesistente.

Da noi cresce il ruolo della donna nel mondo del lavoro, nonostante la questione “femminicidio” sia ancora irrisolta, nelle aree dei paesi islamici e in particolar modo in Afghanistan stop ai principali diritti umani, stop al volto scoperto, stop alla libertà, e persino stop alle classi miste all’Università.

Cosa significano tutte queste restrizioni? Cosa rappresentano per le donne afghane?  Cosa può fare il modo occidentale per loro? Difficile dare una risposta chiara ed esaustiva a tutte queste domande.

La democrazia e la libertà non sono “importabili” e neppure “esportabili”.

Da sempre la storia ha creato la cultura e le tradizioni dei popoli e quello che per noi è ripugnante e abominevole per loro è paura e sofferenza.

Tante, troppe le testimonianze di donne che, negli ultimi anni ce l’avevano fatta, erano riuscite a realizzare i propri sogni, studiare, lavorare e ricoprire dei ruoli di rilevanza sociale ignare che il “nemico” era dietro l’angolo e stava preparando il ritorno.

Alcune di loro ce l’hanno fatta a lasciare la propria terra non per lavorare bensì per continuare a vivere.

Lasciare tutto per restare in vita: nel 2021 come è pensabile?

A questo punto la domanda sorge spontanea: come possono coesistere ricerca dei valori di base della dignità umana delle donne afghane con la ricerca e il sostegno all’imprenditorialità delle altre donne del mondo?

A questa domanda per ora, non può esserci una risposta univoca e risolutiva.

Le due realtà continueranno a coesistere e tutto continuerà ad andare avanti con le proprie culture o non culture, i propri valori e non valori, i propri sogni raggiungibili e quelli infranti.

La realtà ci conduce verso un gap impressionante e profondo. Il mondo intero è davanti a una sconfitta che non appartiene solo alla realtà afghana, ma all’umanità tutta.

Perché è l’umanità che piange la propria incapacità di garantire i diritti più elementari alle proprie donne e ai propri figli; è l’umanità che ha lasciato il posto alla violenza bieca e bassa, disumana e violenta che uccide senza ragione; è l’umanità tutta che è responsabile dei sogni infranti di molti.

Nel nostro piccolo possiamo pregare che tutto questo finisca al più presto e non porti ripercussioni più gravi di quelle che stiamo vivendo.

Non sappiamo se dietro a tutto questo c’è un disegno politico e mondiale che le nostre menti non riescono a percepire ma di sicuro ci troviamo di fronte a una pandemia umanitaria diversa dal Covid.

E’ vero: il Covid ha portato morte e sofferenza  ma forse il vaccino,  la ricerca e la scienza ci condurranno alla soluzione e tutto questo sarà annoverato tra le pandemie che ciclicamente hanno interessato l’essere umano mentre di fronte a tale barbarie del male dell’anima non c’è rimedio.

 

Scrive Isa Maggi in Donne ieri oggi e domani:

“Il tempo che stiamo vivendo in un post Covid che ancora ci attanaglia si fa ancora più scuro dopo il 15 agosto. Cosa dovremo ancora imparare? Abbiamo realmente capito che solo la pratica della Cura è fondamentale per la vita? È necessario avere cura di sé, degli altri, delle altre, delle Istituzioni, della Madre Terra. È arrivato il tempo che la politica si ripensi daccapo per diventare una politica della cura. L’Afghanistan e le urla disperate delle madri che lanciano i propri figli al di là del filo spinato, ci sta insegnando questo. Adesso che tutto è cambiato, adesso si deve fare rete e aiutare le donne afghane a credere nella libertà e nella vita. La vita delle donne in Afghanistan è in pericolo e c’è il rischio che le poche conquiste di questi ultimi 20 anni si dissolvano e che si torni indietro dal punto di vista delle conquiste sociali. I talebani faranno di tutto per imporre la loro visione. Quando sono riusciti a conquistare Herat, per prima cosa hanno emanato un’amnistia generale, garantendo che nulla sarebbe cambiato sul piano civile e sociale, ma hanno impedito alle ragazze di entrare all’Università. La condizione delle donne nel Paese è pessima: nelle zone rurali solo il 10/15% ha avuto la possibilità di studiare, e in quei posti non c’è stata nessuna conquista sociale così che le donne continuano a vivere come nel medioevo. Di scuole neanche a parlarne, al più vengono organizzate delle classi all’interno delle moschee, Nelle grandi città si vedono delle donne che rappresentano le altre, ma sono spesso delle privilegiate che hanno avuto famiglie che le hanno appoggiate e non le hanno sottomesse, come invece è molto diffuso nella società afghana. In venti anni ci sono state pochissime conquiste sociali per loro e solo nelle grandi città, dove le donne possono ricevere un’istruzione. Il 75% di loro vive in zone rurali, con tutte le limitazioni che questo comporta.”

 

Elle dal canto suo riporta il racconto fatto su The Guardian da una studentessa afgana:

“Domenica 15 agosto stesse andando all’università per una lezione, quando un gruppo di donne è uscito di corsa dal dormitorio femminile. Ho chiesto cosa fosse successo e uno di loro mi ha detto che la polizia li stava evacuando perché i talebani erano arrivati ​​a Kabul e avrebbero picchiato le donne senza burqa. ‘Vai e mettiti il chadari [burqa]’, ha gridato uno. ‘Sono i tuoi ultimi giorni in giro per strada’, ha detto un altro. ‘Sposerò quattro di voi in un giorno’, ci ha urlato sghignazzando un terzo. Ho quasi completato due lauree simultanee da due delle migliori università in Afghanistan. Avrei dovuto laurearmi a novembre all’Università americana dell’Afghanistan e all’Università di Kabul, ma stamattina tutto mi è crollato davanti agli occhi.”

È adesso che non bisogna mollare, ora è necessario dimostrare i passi avanti fatti e unire il “girl power” per loro, le donne afghane

E la risposta non si è fatta attendere; ad esempio, il CIF (Comitato Imprenditoria Femminile) Chieti-Pescara ha partecipato alla sottoscrizione della lettera aperta indirizzata a:

Al presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana
Mario Draghi

al Ministro degli Esteri della Repubblica Italiana
Luigi Di Maio

alla Ministra dell’Interno della Repubblica Italiana
Luciana Lamorgese

e pc alla Presidente della Commissione Europea

E pc al Presidente del Parlamento Europeo

La fuga occidentale da Kabul e l’avvento dei talebani, nuovamente forza al comando in Afghanistan, preoccupa fortemente chi ha a cuore i diritti umani e la salvaguardia della vita di tutti i civili, specie di quelli più a rischio, come donne e bambini.

Il loro destino è nuovamente consegnato a un indicibile orrore. Sono nostre madri, amiche, sorelle. Non lo possiamo e non lo vogliamo più accettare. L’Europa deve agire, l’Italia deve reagire, noi donne e cittadine dobbiamo fare rete contro ogni violenza.

Quello che serve adesso è semplice: consentire a più donne, ragazze e bambine/i possibile di mettersi in salvo in queste ore in cui le maglie del controllo talebano sono ancora slabbrate. E sostenere chi decide di rimanere a lottare nel

proprio paese, garantendogli il monitoraggio internazionale della situazione dei diritti umani e delle donne in particolare.

Tutte le organizzazioni firmatarie chiedono che nelle prossime ore vengano attivati dal nostro Paese e dall’Unione europea *canali legali e sicuri di accesso*, corridoi umanitari, celeri ed efficaci, per portare in salvo le molte persone che in queste ore si accalcano, anche perdendo la vita, lungo strade ed aeroporti, per sfuggire alle milizie talebane.

Le organizzazioni firmatarie, e le/i singoli che possono farlo, si mettono a disposizione dello Stato e dell’Unione europea per ospitarle, trovando per esse/i alloggi e ristori, nonché percorsi formativi e lavorativi che consentano loro una libertà e una sicurezza di lunga durata.

Attiveranno nelle prossime ore una raccolta fondi da destinare all’ accoglienza delle famiglie afghane e al loro supporto. *Devono essere usati tutti i posti disponibili nel sistema di accoglienza e integrazione”.

Chiediamo in particolare alla Farnesina di ricevere le organizzazioni aderenti e di attivare insieme un piano rapido ed efficace. Ogni vita salvata dalla violenza è una vittoria per qualsiasi democrazia degna di questo nome.

Bisogna fare tutto e occorre farlo ora.

 

Sul sito I Have a Voice, è stata aperta la Petizione per le donne afghane:

“Non possiamo restare a guardare inermi, lo abbiamo detto ieri e lo ripetiamo oggi: il mondo intero deve unirsi per fermare questa atrocità. I diritti che le donne hanno faticosamente acquisito nei secoli possono essere spazzati via da un momento all’altro. L’Afghanistan ne è un tristissimo esempio e può accadere anche in altre parti del mondo, ecco perché non può essere tollerato quello che sta accadendo.”

Un sostegno concreto, dunque, un richiamo nel nome delle libertà che ha già vissuto un momento importante: l’incontro tra le associazioni firmatarie dell’appello e il Sottosegretario agli Affari Esteri Benedetto Della Vedova.

Il Manifesto ne riporta il report nel quale si legge tra le altre cose:

“Gli interventi delle rappresentanti associative si sono concentrate sulla necessità di arrivare rapidamente a soluzioni concrete, sull’ opportunità o meno di creare un fondo ad hoc su cui dirottare eventuali raccolte di denaro da destinare a progetti di cooperazione, sviluppo, formazione e accoglienza nel nostro Paese e in Afghanistan, di cui le istituzioni, insieme alle organizzazioni più attive, si facciano garanti e parte attiva.”

 

Care donne afghane, non siete sole. Oggi combattiamo insieme una battaglia nel nome della vita, della vita libera dove tutte possano provare a realizzare i propri sogni anche sportivi.

Sì, anche sportivi! Amica cara, hai visto quante medaglie in questa Olimpiade per le donne?

Hai visto quante donne praticano lo sport?

E come le donne afghane, anche lo sport femminile vuole fortemente ripartire come è accaduto in questo evento di cui parla il blog Postcalcium:

“Momenti come questi fanno bene a tutti dopo circa due anni di isolamento e distanza; magari a settembre anche loro possono ripartire come le colleghe della Serie A e B, magari anche loro possono sperare in una vera e definitiva ripartenza.”

Sosteniamo – quanto più possibile – tutte le associazioni femminili impegnate nella condivisione e nella rete, creiamo rete.

Condividiamo anche sul web, nei blog e online tutte le informazioni che alimentino una rete di informazioni umanitaria.

Il monito è quello di sostenere la libertà e – per usare il gergo sportivo – “tifare” tutte per la libertà, per le donne afghane e per il loro futuro e per un futuro più giusto per tutte le donne.

Tifare affinché le donne non vengano uccise dai loro mariti e dai loro compagni

Forse sperare che si faccia luce e chiarezza e si legiferi per i diritti delle donne, anche se a volte la speranza vacilla.

Essere complici, fare rete, avere obiettivi comuni e sostenerci con l’unico obiettivo della parità di genere e della tutela dei diritti umani